The Scrovegni Chapel - Itineraries in the multimedia room
Depliant in lingua inglese
Portale dedicato alle attività di conservazione e restauro curate da Giuseppe Basile.
dipinti murali e dipinti su tavola di Giotto,
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Galleria fotografica con le immagini dell'intervento di restauro della Madonna con Bambino e due Dicaoni di Giovanni Pisano nella Cappella degli Scrovegni a Padova
Si tratta di una delle zone finora meno note e comunque ritenute poco significative dell’intera decorazione della Cappella.
Per cercare di capire il perchè bisogna tenere conto dell’anomalia di una pittura su tavola in un complesso di decorazione pittorica murale, non spiegabile neppure con l’esigenza di ottenere effetti diversi perché anzi, al contrario, l’artista fa di tutto perché essa non sia difforme dal resto del ciclo;
Nell’anno del I Giubileo (1300) Enrico Scrovegni, uno degli uomini più ricchi del suo tempo e aspirante signore di Padova, acquista un’ampia area comprendente alcune case e i resti dell’anfiteatro romano (“Arena”) e vi fa edificare nell’arco di pochissimi anni un imponente palazzo ed una cappella con esso comunicante.
Giotto di Bondone nacque a Colle di Vespignano, presso Vicchio di Mugello, verso il 1267.
Nell’ultimo decennio del secolo l’artista è impegnato ad Assisi, nella Basilica Superiore, nel ciclo con Storie di San Francesco, secondo Giorgio Vasari (autore, nel 1568, di una serie di Vite di illustri artisti) su invito di Giovanni da Muro, eletto nel 1296 Generale dei Francescani.
La caratteristica principale di Giotto sembra essere quella di sapere osservare con incredibile capacità di penetrazione la realtà in tutti i suoi aspetti in funzione della sua rappresentazione artistica e di essere riuscito a mettere a punto gli strumenti idonei a raggiungere lo scopo, sia sul piano formale che su quello tecnico.
Si è sempre detto, e si continua a ripetere, che il ciclo Scrovegni costituisce uno degli esempi più maturi e precoci di pittura a fresco: questo è vero ma non è tutto.
Nel 1855 dal ciclo di Giotto nella Cappella Scrovegni cadde un pezzo di intonaco dipinto. La notizia fece immediatamente il giro del mondo culturale di allora e venne ripresa e amplificata dal Times di Londra, che lo portò ad esempio della trascuratezza e dell’abbandono in cui venivano lasciati nel nostro Paese i più eletti capolavori d’arte.
A giudicare dalla quantità sempre più massiccia di iniziative volte a studiare la tecnica di artisti grandi e meno grandi si direbbe che siamo in presenza di una svolta se non storica sicuramente radicale, se solo si pensa che, non più di 13 anni fa, poteva suscitare grande emozione presso un pubblico di specialisti in storia dell’arte la notizia che il ciclo aretino di Piero della Francesca presentava diverse zone non dipinte a fresco (anzi, come allora si diceva, “ad affresco”).
La decorazione pittorica della navata della Cappella Scrovegni costituisce senza dubbio una delle realizzazioni artistiche più importanti del mondo occidentale.
La superficie dipinta è di circa 900 mq, ed occupa la volta, le due pareti laterali, l’arco trionfale e la controfacciata. Vi sono rappresentati più di 100 soggetti, tra cui molti busti di profeti e di santi, ma la parte principale è costituita dalle 40 scene nelle quali sono raffigurati gli episodi più significativi della vita di Maria e di quella di Gesù fino alla morte ed alla resurrezione, mentre sullo zoccolo sono rappresentate – in forma di finte statue – su una parete le Virtù che conducono al Paradiso, e su quella opposta i Vizi corrispondenti; infine, nella controfacciata, il Giudizio Finale.
Le più antiche cause dei danni ai dipinti murali della Cappella vanno ricercate nello stato di abbandono in cui venne lasciato il Palazzo Scrovegni (e la contigua Cappella) tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, quando ormai da 4 secoli non apparteneva più alla famiglia del fondatore.
Si giunse così al crollo del portichetto quattrocentesco antistante la facciata della Cappella (1817) e poco dopo alla demolizione dell’ormai cadente Palazzo (1824).
La caratteristica principale di Giotto sembra essere quella di sapere osservare con incredibile capacità di penetrazione la realtà in tutti i suoi aspetti in funzione della sua rappresentazione artistica e di essere riuscito a mettere a punto gli strumenti idonei a raggiungere lo scopo, sia sul piano formale che su quello tecnico.
I materiali costitutivi sono molto comuni: per il supporto si utilizzava calce, sabbia e a volte polvere di marmo o pozzolana; per il colore pigmenti quasi esclusivamente di origine minerale e pertanto ricavati con procedimenti piuttosto elementari sotto l’aspetto tecnologico (fondamentalmente frantumazione e riduzione in polvere del minerale), salvo i casi di pigmenti di origine organica (nero di vite o d’avorio, lacche) o ottenuti artificialmente (biacca, cinabro, etc.). Anche gli attrezzi di lavoro erano assai semplici: filo a piombo, compasso, stecca, fratazzo, cazzuola, cucchiarotto.
Giotto sovrappone all’architettura reale dell’edificio una propria architettura finta, immaginando una sorta di arca in muratura alla cui base sta lo zoccolo in finti marmi intramezzati dai finti rilievi dipinti con le raffigurazioni allegoriche dei Vizi e delle Virtù e poi aperta, man mano che va su, da una serie di “finestre”, quadrate quelle più grandi e mistilinee le più piccole, culminanti nelle due enormi aperture che, in alto, lasciano vedere il cielo popolato di stelle e pianeti.