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Assisi - Il recupero dei materiali crollati dalle volte

Inserito in Basilica di S. Francesco di Assisi

La prima iniziativa per il recupero della decorazione murale della Basilica Superiore colpita dal terremoto ebbe inizio al momento del mio arrivo dinanzi ad essa, una trentina di minuti dopo il tragico crollo delle 11,42.

Me lo imponeva la situazione, dal momento che mi trovavo ad essere l’unico funzionario tecnico dell’Amministrazione dei Beni culturali in condizioni di operare

La prima iniziativa per il recupero della decorazione murale della Basilica Superiore colpita dal terremoto ebbe inizio al momento del mio arrivo dinanzi ad essa, una trentina di minuti dopo il tragico crollo delle 11,42.

Me lo imponeva la situazione, dal momento che mi trovavo ad essere l’unico funzionario tecnico dell’Amministrazione dei Beni culturali in condizioni di operare  e, per di più, venuto ad Assisi su precisa richiesta del superiore Ministero proprio per occuparmi della Basilica– come avevo fatto fino allora anno per anno a partire dal 1985  
 
Dovetti pertanto essere io a chiedere ai responsabili dei Vigili del Fuoco, che stavano cercando affannosamente i corpi delle vittime, di fare attenzione nel rimuovere quelle che ai loro occhi apparivano come  semplici macerie , evitando soprattutto che le ruspette schiacciassero i loro carichi man mano che li trasportavano all’esterno ammucchiandoli dinanzi alla facciata, e di disporli invece l’uno accanto all’altro nel prato antistante al di là della staccionata che delimitava il sagrato, divenuto ora area inaccessibile perchè a rischio .
Istintivamente, come per rendere plausibile questa mia “anomala” richiesta, mi trovai a recuperare dai carichi in transito alcuni frammenti di intonaco dipinto affioranti e li misi sul prato, al di là della staccionata, affinchè potessero essere ripresi dai teleoperatori e dai fotoreporter che nel frattempo erano affluiti numerosi dinanzi alla Basilica senza però potervisi avvicinare.
L’ interesse mostrato dai mass media contribuì presumibilmente anch’esso a fare sì che i mucchi di macerie venissero scaricati con cura allineandoli, per quanto possibile, nella zona antistante il muretto della Selva, in modo che si potesse utilizzare il resto del prato per selezionare le macerie e recuperare i frammenti . 
Quanto al crollo della zona della volta all’incrocio tra la navata e il transetto,  essendo stati recuperati ormai, a sera, i corpi martoriati delle quattro vittime e rintracciati quanti in un primo tempo non rispondevano all’appello, l’intenzione dei VVF, sostenuta con forza e passione da P. Nicola Giandomenico,  era dichiaratamente quella di sgomberare le “macerie” in modo che potessero iniziare già l’indomani  gli interventi di messa in sicurezza dell’edificio.
In questo modo, però, si sarebbero prodotti  inevitabilmente dei danni a quella parte delle “macerie” costituita da resti della decorazione murale e, soprattutto, ne sarebbe stata alterata la collocazione, cosa che avrebbe reso assai più difficoltoso il  tentativo di ricostituire le immagini originarie.
Dai miei interlocutori - forse non convinti delle mie buone ragioni ma resi meno irremovibili dallo stress di quella luttuosa, interminabile giornata e, soprattutto, dal dato di fatto che, col buio, l’operazione di sgombero sarebbe riuscita di enorme difficoltà - riuscii ad ottenere sulla parola una dilazione fino al giorno successivo.  
Contavo infatti, alla luce di mie precedenti esperienze in situazioni analoghe (non solo in Friuli, ma anche in Campania e Molise), di potere organizzare con calma e con la preparazione necessaria l’attività di recupero dei resti della decorazione murale con una squadra di operatori specializzati che lavorassero sul posto secondo la tecnica della “quadrettatura” impiegata comunemente negli scavi archeologici.
L’operazione avrebbe richiesto certamente tempi piuttosto lunghi, ma fidavo sul fatto che, una volta superata l’emozione della prima ora, ci si sarebbe potuti confrontare meno emotivamente se non più serenamente e che, pertanto, sarebbe stato più facile far valere i motivi che si opponevano allo sgombero, anche se “sorvegliato”. 
Va da sè che, a parte ogni altra considerazione, un’operazione di quel tipo avrebbe potuto essere condotta solo a patto che fosse garantita l’incolumità degli operatori.
Invece fin dal giorno successivo al 26 l’Autorità competente aveva imposto il divieto assoluto di accesso in Basilica fino a quando l’edificio non fosse stato messo in sicurezza.
Ora, come è noto, per mettere in sicurezza un edificio terremotato è necessario puntellarlo, ma nel caso della Basilica (proprio per minimizzare il rischio dopo quello che era successo e in presenza di un’attività sismica ininterrotta) si è dovuto ricorrere ad un sistema nuovo, consistente nel costruire in condizioni di sicurezza moduli completi di ponteggio per poi posizionarli rapidamente al posto ad essi assegnato.
Si era venuta a creare così una situazione che sembrava senza via d’uscita: lasciare sul posto le macerie sapendo che una parte almeno sarebbe andata distrutta definitivamente per fare posto al ponteggio  ovvero rimuoverle e portarle via ma con la certezza che, nel caso migliore, si sarebbe avuto a che fare con materiali rimescolati e pertanto confusi ( a parte il fatto che si sarebbe trattato di una posizione poco sostenibile, visto che prima avevo bloccato lo stesso tipo di operazione).
D’altra parte , giunti a fine novembre, non era più possibile rinviare la decisione e pertanto dovetti assumere l’impegno a liberare la Basilica dalle “macerie” entro la fine dell’anno. 
In particolare, dato che la Commissione, per potere mantenere l’impegno di riaprire la Basilica restaurata per il Giubileo del 2000, si era data una tabella di marcia ferrea e piena di rigidi incastri, l’unico periodo in cui si sarebbe potuto ottenere dalle imprese (che lavoravano notte e giorno per liberare i rinfianchi delle volte) di sospendere il lavoro risultò essere quello dal 28 dicembre ’97 al 2 gennaio ’98 (  il 3 gennaio sarebbe venuto in visita S.S. Giovanni Paolo II). 
Il piano di sicurezza messo a punto dai VVF prevedeva infatti che non dovessero esserci rumori estranei, nè sopra la volta nè dinanzi alla Basilica,  in modo da potere percepire i minimi segnali che generalmente ( per chi li sa cogliere) preannunciano una scossa e guadagnare così, per quanto possibile, la via di fuga prestabilita ( lungo la parete Sud della Basilica) almeno fino a raggiungere la zona di relativa sicurezza che era stata individuata nello spazio sottostante alla parte di volta crollata sopra l’ingresso principale.
Un ulteriore momento di empasse ebbe a verificarsi quando si pose il problema di rendere compatibile la presenza di 2 persone (lo scrivente e il restauratore ICR Eugenio Mancinelli) non appartenenti al Corpo dei VVF con l’assoluto divieto di accesso anche solo momentaneo, che non prevedeva alcuna eccezione, neppure per i funzionari BC: e che venne risolto nell’unico modo possibile, cioè scaricando i VVF da ogni responsabilità e agendo “all’insaputa” del “ Superiore Ministero”.  
La soluzione effettivamente messa in opera ha consentito di salvaguardare fondamentalmente sia l’integrità dei frammenti che la collocazione assunta sul pavimento da parte  dei materiali crollati dalla volta 
Non potendosi tendere dei fili a griglia sui materiali giacenti attorno all’altare, fu preparato preventivamente un grande telo di plastica trasparente, della estensione del “giacimento”, suddiviso al suo interno in una serie di rettangoli numerati progressivamente, ognuno dei quali corrispondeva ad una delle cassette che sarebbero state impiegate per raccogliere il materiale 
Ai VVF incaricati dell’operazione fu fatto un breve corso accellerato teorico-pratico  soprattutto per istruirli nel maneggiamento dei vari elementi costitutivi delle macerie e, in misura molto essenziale, per abituarli a distinguere ciò che andava recuperato per potere essere valutato meglio in condizioni di sicurezza e ciò che invece poteva essere considerato privo di interesse e pertanto abbandonato sul posto . 
Questa delicatissima operazione si imponeva per ottimizzare i tempi di permanenza degli operatori in Basilica e quindi ridurre l’esposizione al rischio. D’altra parte, proprio perchè bisognava ottimizzare i tempi ma senza commettere involontari errori, a controllarli e guidarli avrebbero dovuto esserci degli esperti, ovviamente gli stessi che li avevano istruiti .
L’operazione venne portata a termine, nei tempi previsti, da squadre di 20 VVF a turnazione parziale e rappresentò un’esperienza positiva sia per i risultati che per la messa a punto di un modulo operativo nuovo. 
A questo proposito è doveroso avvertire che sarà necessario rendere più funzionali 2 aspetti: quello del trasporto rapido delle cassette (i carrelli tirati dai VVF tramite funi spesso si incastravano nei binari preesistenti ma predisposti per movimentare i moduli del ponteggio, tanto che i VVF finirono col trasportarle a mano) e quello della protezione ( il “trabiccolo” in tubi Dalmine e assi di legno, costruito a protezione di chi avrebbe dovuto stare fermo dinanzi all’altare a dirigere le operazioni, è risultato inutilizzabile a causa della sua rigidità e scarsa manovrabilità).
Quanto alla documentazione delle operazioni effettuate, data la inaccessibilità della Basilica, essa non poteva che essere affidata a VVF addetti alla documentazione, che però non hanno preso parte alle esercitazioni preliminari nè poi si sono relazionati con l’attività del gruppo.
Giuseppe Basile

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