Questo sito utilizza cookie di funzionalità e cookie analitici, anche di terze parti, per raccogliere informazioni sull'utilizzo del Sito Internet da parte degli utenti. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookie.

Salvaguardia e restauro dell'arte contemporanea in Italia

Inserito in 2008

l’attività dell’Associazione “Amici di Cesare Brandi”

di Giuseppe Basile - Ferrara 2008

La storia del restauro e della salvaguardia dell’arte contemporanea nel nostro Paese non va molto indietro nel tempo, più o meno un quarto di secolo, a partire dalle pioneristiche iniziative del Castello di Rivoli e del 1° Salone del restauro di Ferrara, per continuare lungo l’ultimo decennio del secolo scorso con ulteriori iniziative benemerite ma isolate ( Venezia, Pistoia). Infatti l’unico esempio di un incontro di studio sulla conservazione e il restauro del contemporaneo che si ripete a distanza di qualche anno, ma alla luce di un progetto unitario, è quello del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma.

Qui nel ’94 e nel ’97 ebbero luogo, a cura dello scrivente, due convegni: il primo, di apertura generale sui più rilevanti problemi teorici e metodologici nei confronti del  restauro del contemporaneo; il secondo, più specifico, come rendiconto della ricerca di storia conservativa in attività didattica, delle indagini scientifiche e degli interventi sui 2 più importanti manufatti dell’Università, la Minerva di Arturo Martini ( che fu restaurata) e l’Italia fra le Arti e le Scienze di Mario Sironi (che fu fatta oggetto di studi e ricognizioni sistematiche in funzione di un intervento di restauro che poi non ebbe più luogo a causa di cambiamenti imprevisti nel governo dell’Ateneo).

Ma bisogna attendere la metà del 1° decennio scorso per potere registrare un interesse abbastanza continuo e non “ episodico” nei confronti di questi problemi, certo anche grazie all’aggravarsi delle condizioni di alcuni manufatti particolarmente a rischio, in primo luogo quelli collocati all’aperto, e quindi, di conseguenza, al lento ma inarrestabile venir meno del tabù della non deperibilità dell’arte contemporanea.

Un ruolo fondamentale in questa direzione era stato giocato dall’attività teorico-pratica ( e didattica) dell’Istituto centrale del restauro ( ora Istituto superiore conservazione e restauro), che già dagli ultimi anni del secolo scorso aveva attivato un Settore per lo studio e il restauro dell’arte contemporanea ( poi divenuto, in virtù della istituzione dei Centri di alta formazione, “Laboratorio per il restauro dei materiali dell’arte contemporanea”  con relativa area formativa) alla luce della propria più che cinquantennale esperienza metodico-operativa e didattica nel campo della conservazione e del restauro dell’arte “precontemporanea” .

Era pertanto abbastanza naturale che L'Associazione Amici di Cesare Brandi, nell’ambito del programma di approfondimento e diffusione della conoscenza del pensiero e dell’opera del Maestro, con particolare riguardo agli aspetti meno noti o più problematici di esse, dedicasse una parte considerevole della propria attività alla promozione dello studio delle problematiche conservative e di salvaguardia dell'arte contemporanea, sia dal punto di vista teorico che pratico, animando un dibattito a livello nazionale tra diversi enti pubblici e privati interessati al problema e dando origine, contestualmente, ad una rete informale per garantire, quanto meno, la possibilità di venire a conoscenza di quanto si va facendo nel campo e con l’intento di  arrivare in prospettiva alla costituzione di una banca dati sul restauro del contemporaneo nonché ad espletare attività consulenziale e formativa.

Il primo appuntamento importante ebbe luogo nel 2007 al Salone del restauro di Ferrara (A 100 anni dalla nascita di Cesare Brandi – ARTE CONTEMPORANEA IN ITALIA: QUALE SALVAGUARDIA ? – Un’indagine conoscitiva), e nel corso di esso erano stati – tra l’altro - presentati e discussi a confronto i risultati di un’indagine, ripetuta a distanza di 6 anni ( 2000 e 2006) , tra i maggiori musei e Raccolte d’arte contemporanea non statali del nostro Paese allo scopo di verificare quale fosse il livello di percezione della necessità di una adeguata attenzione alle esigenze conservative delle opere in essi conservate.

Subito dopo, un primo ciclo di seminari è stato promosso tra il 2007 e il 2008 in collaborazione con i soggetti che avevano partecipato alla Tavola Rotonda ferrarese, in particolare la GNAM di Roma (Maria Vittoria Marini Clarelli), l’ ISCR (Giuseppe Basile, la PARC – MAXXI (Anna Mattirolo), sui temi della teoria e deontologia, della prevenzione, della new media art e dei rapporti fra conservazione e mercato, coinvolgendo inoltre enti quali : IBC Emilia Romagna,  Direzione Beni Culturali della Regione Veneto,  Accademia di Belle Arti di Napoli ; Centro di Conservazione e restauro “La Venaria Reale” ; Museo del Novecento, Milano ; Archivio Guttuso, MART, Rovereto-Trento , MAMBO, Bologna ; PAN, Napoli ; MADRE, Napoli ; MUSMA, Matera ; Museo Arte moderna e contemporanea della Sicilia RISO ; Università di Perugia ; Università di Roma “La Sapienza” ; Università di Torino ; Università della Tuscia ; Soprintendenza patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Milano ; Fondazione Orestiadi, Gibellina ; Antonio Rava; Fondazione Fiumara d’arte .

Le Tavole rotonde che si sono susseguite negli anni successivi (PRIMO CONSUNTIVO – 2008; RESTAURO PREVENTIVO NELL’ARTE CONTEMPORANEA: teoria e pratica – 2009 ; STRUMENTI FORMATIVI – 2010 ; DAL “FARE” AL “DIRE” : esperienze e scritture – 2011) hanno mirato ad approfondire e sviluppare alcuni dei temi allora passati in rassegna, anche tenendo conto degli eventi che nel frattempo andavano realizzandosi, sempre nell’intento di far emergere problematiche comuni a istituzioni ordinariamente non in relazione tra loro, dalla gestione delle collezioni all'acquisizione di opere non ancora tutelate dalla legge, dal rapporto con gli artisti viventi alla definizione a livello teorico di prime linee guida per la realizzazione delle decisioni conservative.

La collaborazione così stabilita negli anni ha dato origine ad iniziative comuni di confronto e approfondimento cui l’Associazione ha fornito supporto scientifico e promozionale. Alcuni esempi:

Accademia di Belle Arti di Napoli : Giornata di studio su La conservazione dell’arte pubblica in Italia : il caso del metrò dell’arte a Napoli ( 2009) e presentazione del volume degli Atti a Ferrara, Roma, Napoli 

Fondazione Palazzo Albizzini – Collezione Burri, di Città di Castello: edizione, in collaborazione con l’Istituto Superiore conservazione e restauro,  del volume La collezione Burri di Città di Castello. Dalla conoscenza alla prevenzione, Siena 2009, che costituisce il documento di un pionieristico cantiere di studio e restauro tenuto dall'ISCR nel 2007-2008 presso la Collezione Burri , e presentazione a Ferrara, Milano, Roma, Napoli, Valencia

Centro di Arte Contemporanea CAOS di Terni, Archivi Turcato e Associazione Civita:  in occasione della mostra antologica e del restauro delle Libertà dell’artista sul lago di Piediluco,  Giornata di studio sul degrado delle opere d’arte contemporanee all’aperto e su come prevenirlo (2011)

     -    Regione Veneto, P. O. Musei, Direzione Beni Culturali :  progettazione e organizzazione del corso “Conservazione dell’arte contemporanea: temi e problemi - Ciclo di Seminari Formativi per Direttori, Conservatori e Funzionari tecnici dei Musei del Veneto e di altre istituzioni culturali e di ricerca”.

Nei tre seminari, effettuati da aprile a giugno 2009 a Verona e Venezia, in collaborazione con la Soprintendenza PSAE per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, l' Università degli Studi di Cà Foscari, e il Polo Museale – Soprintendenza PSAE di Venezia, sono state affrontate tre grandi aree di interesse, secondo un punto di vista sia critico-metodologico che tecnico-operativo: l’importanza della conoscenza storico-conservativa di un’opera o di un complesso di opere, ai fini di una corretta gestione e prevenzione dei danni; il rapporto con tecniche esecutive recuperate dal passato ma riattualizzate in chiave moderna come il “muralismo” dagli Anni ’30 ad oggi; la vera o presunta inadeguatezza degli strumenti metodologici e operativi di uso comune di fronte alle sfide portate dalle più recenti realizzazioni ed operazioni artistiche.

Come risultato dell'esperienza è stato pubblicato un volume di lezioni, Conservazione dell’arte contemporanea: temi e problemi. Un’esperienza didattica, a cura di Paola Iazurlo e Francesca Valentini, Il Prato, Padova, 2010, che è stato presentato per la prima volta al Salone del Restauro di Ferrara del 2010, nell'ambito della già citata tavola rotonda, proseguendo nell'approfondimento delle problematiche pratiche connesse alla gestione di collezioni di arte contemporanea. 

Attraverso dibattiti di questo tipo l’Associazione si proponeva  di fare emergere i primi caratteri di una “scuola” del restauro del contemporaneo in Italia, alla luce di quei “varchi brandiani” che proprio dai seminari intensivi del 2007-2008 erano venuti fuori nella loro assoluta attualità. 

Sarà utile ricordare a questo punto che - a distanza di poco più di 20 anni - la situazione è cambiata radicalmente  quanto alla valutazione che ora viene fatta dell’arte contemporanea, soprattutto da quando il relativo  mercato è venuto enormemente ampliandosi in parallelo alla flessione del tradizionale  mercato “antiquario” ( con ovvie ricadute sull’interesse per la conservazione di essa).

E’ innegabile, infatti, che nessuno ormai si azzarderebbe a sostenere che un qualsiasi prodotto artistico del nostro tempo sia “privo di valore” quando è notizia di tutti i giorni che non solo i “classici” ( i rappresentanti delle Avanguardie storiche, dei Movimenti ormai storicizzati, etc. ) ma anche i meno anziani e talora perfino alcuni giovani raggiungono quotazioni di mercato da fare invidia a tanti Maestri del passato.

D’altra parte, se Enti pubblici e privati collezionisti impiegano risorse economiche anche rilevanti per entrare in possesso di opere d’arte o operazioni artistico-estetiche di recente produzione non possono poi disinteressarsene o comunque trascurarle , una volta preso atto che il fatto di essere “nuove” (o di essere state qualche decennio fa “nuove”…) non basta a sottrarle al degrado, anche nel caso in cui quest’ultimo non sia previsto dall’autore come elemento costitutivo dell’opera.

L’osservazione peraltro vale anche per coloro che ne vengono in possesso in maniera non onerosa o ne sono comunque i detentori  (intendo le Fondazioni, gli Archivi e altre realtà del genere, non a caso sempre più numerose), sicchè risulta chiaro che negli anni più vicini a noi si è andato formando un insieme di soggetti “obbligati” (per così dire) a darsi cura dei prodotti o delle operazioni artistico-estetiche recenti di cui risultino a qualsiasi titolo responsabili. 

Essi aumentano continuamente soprattutto da quando – ed è fenomeno di questi ultimissimi anni - è entrata massicciamente in campo la committenza pubblica, in particolare a livello di Enti Locali, capovolgendo così la situazione precedente di nettissima preponderanza (e non solo quantitativa) da parte del collezionismo privato.

Certo siamo in presenza di una realtà quanto mai eterogenea sotto ogni punto di vista, a cominciare dall’oggetto stesso di cui stiamo parlando, se si conviene (come credo  si debba) che difficilmente si potrebbe avere a che fare con un concetto più sfuggente di quello che per convenzione chiamiamo “contemporaneo”, che non a caso, infatti, si sottrae a qualsiasi tentativo di determinazione cronologica.

Ma anche rifiutando, in quanto troppo rozza e banale, una caratterizzazione in termini  cronologici, non riesce per nulla facile darne una definizione in base ad altri parametri di giudizio, dato che ormai qualsiasi criterio di valutazione stenta ad essere accettato anche se ci si riferisce ad una produzione artistica già consacrata dal tempo.

Quali potrebbero essere, infatti, questi parametri, quando l’epoca in cui viviamo pare proprio essere caratterizzata dal rifiuto di creare una scala gerarchica di “valori” condivisi?  Se inoltre viene a mancare (e non potrebbe essere altrimenti) la “selezione naturale” derivante dalle infinite vicissitudini (guerre, disastri naturali, incidenti di vario tipo, compresi gli interventi di restauro sbagliati) in cui l’opera, in un lasso di tempo più o meno lungo,  può essere coinvolta (per non parlare del naturale degrado inerente ad ogni materiale in quanto facente parte di un sistema entropico), allora non stupirà che i comportamenti relativi alla cura delle opere e operazioni di cui stiamo parlando siano – mi si consenta il paradosso - tanti quanti i soggetti interessati.

Del resto (e, vorrei dire, ad aggravare la situazione) non si può neppure contare su quella sorta di “ammortizzatori culturali” che invece agiscono, e spesso in misura esagerata, quando si tratta di opere d’arte tradizionali: intendo riferirmi alla funzione identitaria, a quella “normativa” (ora certo piuttosto in ribasso, ma non del tutto sparita), a quella educativa (sia a carattere etico che estetico), e così via.

Ora sarebbe quasi superfluo aggiungere ciò che è ben noto a tutti, e cioè che, da parte loro, i prodotti e le operazioni di cui ci occupiamo possiedono tutti i requisiti per rendere la situazione irrimediabilmente intricata, se è vero (come io credo) che non esiste nella storia dell’arte (almeno quella occidentale) nessun altro periodo in cui si sia agito al di fuori di ogni regola sia a livello ideativo che tecnico-operativo.

Dunque una situazione di assoluta (o quasi) libertà, in cui regolatore unico sembra essere il mercato nelle sue espressioni più “creative” e perciò imprevedibili, tanto più che in un mercato globalizzato qual è quello attuale la merce “prodotto artistico - estetico” è tra quelle più facilmente vendibili in quanto meno gravata da remore di qualsiasi tipo ( e ritengo sintomatico che perfino la vigente normativa di tutela del nostro Paese, senza dubbio tra le meno permissive al mondo, non se ne occupa - a meno che le opere non abbiano più di 50 anni e l’autore sia defunto).

Di fronte ad una situazione quale quella qui schematicamente  accennata è più che comprensibile che la prima preoccupazione da parte degli “addetti ai lavori”, ed in particolare di conservatori e restauratori, fosse di tipo deontologico-professionale, fosse rivolta cioè proprio ai materiali costitutivi dei manufatti artistici, con uno spostamento successivo (ovviamente, come sempre nella realtà, non univoco e rettilineo) dai materiali cosiddetti “neoantichi” (cioè tipici della produzione artistica tradizionale, ma fabbricati e /o impiegati in maniera diversa) a quelli “moderni” (cioè tipici della più recente produzione industriale, in particolare – ma non solo – i prodotti sintetici ) fino ad arrivare, in tempi più recenti, a quegli svariatissimi aspetti della produzione artistico-estetica non consistenti in un oggetto fisico anche se bisognosi, ad ogni modo, di un mezzo fisico per potere essere realizzati ( dai “preistorici” happenings o performances di vario tipo alla più recente computer art).

Ma proprio l’impatto con una situazione come questa, del tutto priva di precedenti, è servito a mettere in rilievo la inadeguatezza di un approccio fondato unicamente sulle caratteristiche materiche di una data operazione artistico-estetica, almeno da parte di chi si era formato ed aveva sviluppato la propria esperienza alla luce della lezione brandiana, traendone non a caso indicazioni radicalmente diverse da quelle dominanti presso altre tradizioni culturali, in particolare di marca anglo-americana.

E’ anche vero che il principio brandiano della necessità di rispettare l’autenticità anche fisica dell’opera risulterebbe, da solo, insufficiente a motivare il ricorso alla sua lezione, ma bisogna ricordare che i caposaldi della teoria brandiana suscettibili di essere proficuamente impiegati per la tutela e la salvaguardia della produzione artistico-estetica di questi ultimi anni sono individuabili nel principio del “restauro preventivo” e, ovviamente più a monte in quanto precedente obbligato, nel principio di individualità dell’opera d’arte.

Il principio secondo il quale ogni opera d’arte è unica e irripetibile non solo sotto l’aspetto formale ma anche materico ha rivoluzionato l’approccio tradizionale, che procedeva ( com’è noto) per classi (dipinti su tavola, su tela, sculture in bronzo, mosaici, stucchi, e così via), per periodi cronologici o civiltà artistiche (arte fiamminga, ferrarese, romanica, barocca, etc.) o, nei casi migliori, per autori. 

E non poteva essere altrimenti alla luce dei principi messi a punto da Brandi, dato che solo indagando in profondità e sotto tutti gli aspetti gli elementi costitutivi della individualità di una data opera se ne potrà correttamente proporre la restituzione potenziale, facendo in tal modo opera di critica mediante il restauro piuttosto che inaccettabili falsificazioni tramite fuorvianti completamenti mimetici.

Anche il concetto di restauro preventivo rappresenta una tappa fondamentale nella storia del restauro e resta veramente inspiegabile come non se ne sia messa in adeguata evidenza  la maggiore profondità e modernità rispetto al concetto, oggi divenuto corrente, di “prevenzione” che si riferisce essenzialmente alla materialità dell’oggetto, mentre restauro preventivo ne comprende anche l’aspetto non fisico. 

Naturalmente non è mia intenzione  sostenere che questi e altri possibili “varchi” brandiani siano sufficienti a rispondere a tutti gli interrogativi posti dal restauro e dalla tutela dell’arte contemporanea, se non altro per il fatto incontrovertibile che Brandi  aveva sempre  negato l’utilità di un “manuale del restauro”, ritenendolo palesemente contraddittorio: utile è, infatti, fornire il metodo, non soluzioni bell’e pronte, perché in tal caso ne  risulterebbe inficiato il carattere critico e, pertanto, problematico e assolutamente non “casistico”, del restauro.

Del resto, proprio questo è avvenuto per il restauro della produzione artistica “pre-contemporanea” dal momento della fondazione dell’ICR ad opera di quanti (e fu lo stesso Brandi a darne l’esempio) hanno lavorato – con risultati che sono sotto gli occhi di tutti – alla applicazione critica dei principi da lui formulati alla soluzione di problemi operativi anche lontanissimi dalla tradizione del mondo occidentale. 

Ed è precisamente questa esperienza che ci ha confermato nel proposito di proseguire nella attività di ulteriore approfondimento delle condizioni per la formulazione di essenziali linee-guida che possano fungere da riferimento condiviso per quanti hanno a che fare con la produzione artistico-estetica dei nostri tempi: a cominciare dal principio irrinunciabile dell’ascolto dell’opera (o dell’operazione artistico-estetica). 

Purchè (lo dico a scanso di equivoci) non lo si interpreti come atteggiamento privato o, peggio, solipsistico, perché così si verrebbe a negare la dimensione comunitaria (o, meglio, come è stata chiamata, pubblica) della esperienza estetica.

Una dimensione da sempre costitutiva di quel particolare tipo di esperienza ma che, paradossalmente, potrebbe andare incontro a seri rischi proprio quando – come ormai va succedendo sempre più spesso grazie soprattutto alla tecnologia informatica della “rete” – sembrerebbero in via di superamento definitivo realtà fortemente radicate nella nostra cultura, quali soprattutto il diritto proprietario, sia del produttore (l’artista) che dell’acquirente (singolo o collettivo), con tutto ciò che di “ideologico” si è costruito su di esso nel corso dei due ultimi secoli.

Intendo dire che il superamento della distinzione di ruoli tra il produttore e il fruitore, addirittura la coproduzione illimitata e non programmata tramite la rete, senza dubbio costituiscono  una svolta di enorme portata, ma a condizione che l’esperienza che ne deriva sia realmente comunitaria e però anche autenticamente estetica . 

In caso contrario, se cioè la “coproduzione” libera e aperta si configurasse come una sommatoria di eventi personali e, d’altra parte, non riuscisse a mantenere una sua costitutiva diversità rispetto ad un generalizzato e pertanto indifferenziato agire politico (cosa – sia detto per inciso - tanto più facile in un periodo quale il nostro, in cui tutti, grazie ai “miracoli” della tecnologia, ritengono di poter fare tutto) allora temo che più che dinanzi ad una svolta epocale ci si ritroverebbe dinanzi ad una grande occasione mancata.

Ovviamente sta anche a noi “addetti ai lavori”, ancora una volta alla luce della più autentica lezione brandiana, dare il nostro contributo in direzione di una tutt’altro che facile sensibilizzazione ad una problematica così nuova e complessa qual’ è quella riguardante la tutela della produzione artistico-estetica contemporanea: ben consci di quanto profondamente inadeguato possa risultare il nostro sforzo in presenza di fenomeni di così vasta portata e di una realtà in tanto rapida mutazione, ma fermi nella convinzione che è doveroso impegnarcisi, intendendo altresì svolgere un ruolo sempre più incisivo in direzione della sensibilizzazione del pubblico di “non addetti ai lavori”, mediante un’attività di “didattica formativa” che l’Associazione  è in  grado, grazie a precedenti esperienze, di progettare e gestire alla stessa stregua di quella riguardante gli “addetti ai lavori”.

E però non si può non osservare come queste ipotesi di attività siano andate nel frattempo a cozzare contro una diminuzione senza precedenti delle risorse indirizzate alla conservazione e alla salvaguardia delle opere d’arte contemporanea, che del resto ha colpito tutte le attività culturali ( e non solo) degli Enti pubblici a qualsiasi livello di rappresentatività istituzionale: dal competente Ministero statale per i Beni e le Attività Culturali alle Regioni, alle Province, ai Comuni e via parlando: sicchè nessuno è in grado in questo momento di sapere se la Tavola rotonda di quest’anno ( Tra teoria e pratica l’urgenza della materia) non sarà destinata, nostro malgrado, a chiudere la breve ma densa serie di appuntamenti finora realizzati, tanto più che l’Associazione, a differenza di alcune “multinazionali” della cultura, che proprio in quanto tali ottengono anche sostegni pubblici e privati, può solo contare sul lavoro volontario dei propri aderenti.

Ma quel che è più allarmante è che rischiano di cadere a pezzi o – che è lo stesso – nel dimenticatoio manufatti non solo artisticamente ma anche socialmente importanti, anzi vitali per un vivere civile degno del nome. Mi limiterò a 3 esempi:

Il Monumento ai Caduti di Umberto Mastroianni a Frosinone

La Porta d’Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa

Il Memoriale italiano del Blocco 21 ad Auschwitz dello Studio BBPR in collaborazione con Primo Levi, Pupino Samonà, Luigi Nono, Nelo Risi  

A prescindere dalla condizione giuridica di ciascuno di essi ( di proprietà comunale i primi due, di un Ente a carattere morale il Memoriale, comunque realizzato a carico dello Stato), resta il fatto che la loro rilevanza è quanto meno  nazionale, e quindi dovrebbe essere il competente Ministero Beni Culturali ad intervenire. Che invece, per carenza di fondi ( e non solo), è costretto ad effettuare interventi di limitatissimo peso economico, anche se generalmente di altissimo interesse sia metodologico che diagnostico ed operativo: come dimostrano i resoconti dei rappresentanti di alcuni importanti Enti pubblici (o con personale proveniente dal pubblico) che agiscono oggi in Italia nel campo del restauro del contemporaneo, ISCR, GNAM, MAXXI, Soprintendenza PSAE e Polo Museale di Napoli ( Capodimonte, Castel S. Elmo).

E non sarà un caso se ( almeno a mia conoscenza) non saranno presentati alla Tavola rotonda interventi di rilevante impegno economico, anzi forse non fa altro che confermare quanto fin qui lamentato il fatto che sia disponibile solo ora , a 12 anni dal restauro e a 7 dall’intervento di controllo e manutenzione, il resoconto a stampa degli interventi da parte dell’ISCR sul Cavallo Morente della RAI ( Il Cavallo Morente di Francesco Messina nella Sede Centrale RAI – Studio, restauro, manutenzione, cura G. Basile, Padova, Il Prato, 2012). Tanto più se lo si confronta alla sorte ben diversa toccata invece all’Edicola di Renato Guttuso, l’unica opera di scultura del grande pittore, di cui si era riferito nella Tavola Rotonda ferrarese dell’anno scorso, quando ancora si stavano effettuando le prime indagini scientifiche sulle condizioni dell’opera per decidere se lasciarla ancora all’aperto o se invece si sarebbe stati costretti a portarla all’interno del Museo, come poi  si è dovuto fare.

Certo il fatto che, in meno di un anno, si sia riusciti a portare a termine il restauro, raccogliendo contemporaneamente una messe straordinaria di informazioni sulla storia conservativa, sulle tecniche esecutive e sulle dinamiche del degrado di un manufatto del tutto atipico e fino ad ora quasi sconosciuto, nonché a pubblicarne i risultati a stampa ( Renato Guttuso, L’Edicola. Il restauro, a cura di G. Basile e F. Carapezza Guttuso, Catania, Euno ed., 2011) non si spiegherebbe se non ricordando quali fattori abbiano reso possibile un tale esito. Intendo la possibilità di agire senza eccessivi vincoli formali da parte dell’Ente privato proprietario dell’opera ( gli Archivi Guttuso), la sensibilità dei responsabili degli Archivi e del Museo Guttuso,  che hanno avvertito la necessità di affidare la gestione tecnica e operativa ad un Comitato interdisciplinare di specialisti di vasta esperienza nel campo ( Maurizio Marabelli,  Raffaella D’Amico, Stefano Ridolfi coordinati da Giuseppe Basile) in grado di garantire non solo risultati culturalmente idonei ma anche tempi certi. 

Sebbene lo scorso anno si fosse dovuto constatare come quel primo tentativo di ricognizione di quanto in Italia viene reso pubblico, con qualsiasi mezzo, nel campo della conoscenza fisica, storia conservativa, caratterizzazioni e indagini scientifiche, interventi di salvaguardia, prevenzione, conservazione e restauro delle opere d’arte contemporanee, pur tenendo conto di tutte le enormi difficoltà insite in una simile iniziativa, tanto più se a carattere volontaristico e in assenza di risorse, avesse dato esiti piuttosto deludenti, tuttavia ritengo ne debba essere ribadita l’esigenza.

Anche per questo è interessante il progetto europeo di studio e restauro della mostra storica di foto d’arte di Edward Steichen The Bitter Years: 1935 – 1941 ( Sandra Maria Petrillo), un aspetto fondamentale del contemporaneo finora sostanzialmente sottovalutato nel nostro Paese.

Infine, un problema che, per quanto non sempre esplicitamente, è stato comunque in maniera ininterrotta oggetto di attenzione da parte nostra, quello della formazione del restauratore, o, più precisamente, dell’équipe di restauro, tenuto conto che la tradizionale “separatezza” delle professionalità coinvolte in quell’attività risulta sempre più inadeguata proprio alla luce delle più recenti forme di espressione ( quindi con definitivo tramonto del modello anglo – americano e in parte tedesco del restauratore protagonista unico del restauro, in quanto addottrinato sia in storia dell’arte che in chimica, e conseguente conferma della soluzione che del problema aveva dato Brandi 70 anni fa). 

 

 Il 27 settembre del 2000 le prime opere restaurate ( di Carla Accardi, Bice Lazzari, Pino Pascali e Giulio Turcato ) vennero esposte in una mostra didattica nel museo di appartenenza ( la Galleria Comunale d’arte moderna e contemporanea di Roma)  e, nello stesso giorno, ebbe luogo un Incontro di studio sul restauro del contemporaneo nei suoi vari aspetti: metodologici, scientifici, operativi, salvaguardistici. Precedentemente ciascuna di quelle opere era stata fatta oggetto di studio in funzione del restauro da parte di allievi restauratori per la loro tesi di diploma.  
 Nata nel 2005 come copromotrice, assieme all’ISCR, del Comitato per il 100° della nascita di Brandi (1906) , ne era divenuta poi “braccio operativo”

© 2012-2023 Giuseppe Basile. Login