A dieci anni dal restauro della Cappella, una sintesi dell'intervento e il progetto di manutenzione
La storia conservativa documentata della Cappella – come è noto – risale a 2 secoli fa, ma per arrivare all’ultima fase, cioè quella attuale, è necessario partire dal sisma del Friuli (1976), che, riaprendo vecchie lesioni, spinse l’allora Ministero per i Beni culturali e ambientali a coinvolgere l’Istituto centrale del restauro nel compito di occuparsi di Giotto.
E’ altrettanto noto che l’Istituto diede al problema della conservazione dei dipinti della Cappella una impostazione innovativa, capovolgendo la prassi tradizionale, che prevedeva l’intervento sul manufatto indipendentemente dallo studio e dall’eventuale intervento di adeguamento dell’ambiente e di risanamento dell’edificio, che invece debbono essere propedeutici e, in ogni caso, precedere.
Analogamente innovativo risultò sia il metodo di programmazione ed esecuzione delle indagini scientifiche, ad ampio raggio ma strettamente mirate, che il modo, articolato e progressivo, in cui sono stati messi in opera i provvedimenti: quindi iniziando dai più elementari per poi passare ai più complessi, ma passando dall’uno all’altro soltanto se e quando fosse stata verificata la bontà dei risultati ottenuti.
Bisogna precisare subito che l’aspetto decisivo per il buon esito della difficile impresa fu, fin dall’inizio, il riconoscimento della necessità di una impostazione realmente sinergica dell’attività a tutti i livelli, sia politico – istituzionale che tecnico – scientifico.
Infatti della direzione politico-amministrativa (la Commissione interdisciplinare permanente di lavoro – 1982) facevano parte, oltre all’ICR, le due Soprintendenze competenti per territorio e il Comune di Padova, proprietario della Cappella, mentre, a livello scientifico-tecnico, vennero immediatamente coinvolte, per garantire la necessaria interdisciplinarietà, le più avanzate realtà scientifiche e tecniche operanti nel campo ( oltre, ovviamente a quelle interne alle Amministrazioni coinvolte), che poi riceveranno formale riconoscimento nella istituzione, da parte del Comune, nel 1994, della Commissione scientifica per il restauro della Cappella ( per quel che mi risulta tuttora vigente anche se, per così dire, “in sonno”).
Debbo avvertire a questo punto che non farò, per motivi di tempo, i loro nomi, ma li si potrà trovare nelle diapositive che scorreranno contemporaneamente alla mia lettura.
Una prima serie di indagini scientifiche (rilevamenti microclimatici, definizione del tasso e della tipologia dell’inquinamento chimico e biologico, misurazione di temperatura e umidità superficiale) fu effettuata tra il ’78 ed il ’79 ed i risultati furono resi pubblici in un numero speciale del Bollettino d’Arte Giotto a Padova (1982).
Principale causa di degrado risultò essere l’inquinamento che, interagendo con l’umidità di condensa, aveva innescato ed alimentava il fenomeno della solfatazione, cioè la trasformazione della calce (principale costituente dell’intonaco) in gesso con conseguente polverizzazione del colore steso sull’intonaco ed in parte da esso assorbito.
Si rendeva pertanto necessario da una parte ridurre al minimo l’accesso degli inquinanti e dall’altra impedire che all’interno dell’edificio si concentrasse tanto vapore acqueo da consentire la formazione dell’umidità di condensa. In sostanza bisognava rendere l’ambiente interno della Cappella il più possibile isolato dall’esterno e inoltre rimuovere ogni possibile causa interna di degrado.
I primi interventi – seguendo le indicazioni operative del direttore dell’Istituto Giovanni Urbani - furono elementari: schermatura delle vetrate nei confronti di UV e IR, sostituzione delle lampade a incandescenza con lampade a luce fredda, monitoraggio in continuo delle condizioni microclimatiche e di inquinamento dell’aria.
Ad un momento successivo alla messa in opera di consolidati interventi di risanamento dell’edificio e delle sue pertinenze funzionali (consistenti schematicamente nella revisione del tetto, nella coibentazione dei paramenti murari esterni, nel riassetto delle condizioni idrogeologiche) furono invece rinviati gli interventi più nuovi e caratterizzanti di tipo ambientale: cioè la chiusura del portone in facciata con conseguente riapertura dell’ingresso laterale in fondo alla parete sinistra (tamponato per motivi di sicurezza agli inizi dell’Ottocento dopo la demolizione del Palazzo) e la costruzione di un vano polivalente in funzione di filtro tra l’interno e l’esterno della Cappella ( in sigla CTA, cioè Corpo tecnologico attrezzato o, secondo la versione poi definitivamente invalsa, Corpo tecnico di accesso).
La costruzione di questo vano si rendeva necessaria in quanto non esistevano vani contigui alla Cappella (a parte la sacrestia, troppo piccola e comunque senza aperture verso l’esterno), a differenza di quanto invece accade, per esempio, per il Cenacolo di Leonardo o per la Camera degli Sposi del Mantegna.
Del resto proprio il precedente del Cenacolo aveva confermato la necessità di intervenire anche sul numero dei visitatori, limitandone la presenza all’interno del Refettorio al numero massimo di 25, in considerazione del fatto che ogni visitatore emette respirando una certa quantità di vapore acqueo e può pertanto divenire agente ( per quanto involontario) di degrado, favorendo il fenomeno della solfatazione.
Allo stesso scopo era stata ideata e realizzata una “stazione informativa”, la Sala multimediale Wienegand ( 2001 ?), in quanto propedeutica alla visita della Cappella.
Gli interventi volti a rendere idonei alla conservazione delle decorazioni murali della Cappella l’ambiente e l’edificio ebbero inizio nel 1985 e furono portati a conclusione il 31 maggio del 2000, data dell’entrata in funzione del CTA.
Essi erano stati preparati e accompagnati da ulteriori campagne di misurazione dei parametri ambientali e di monitoraggio delle condizioni geognostiche e statiche dell’edificio, ormai divenuti continuativi (alla luce del concetto di “prevenzione permanente”), i cui risultati sono riportati nel volume IL RESTAURO DELLA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI: indagini, progetto, risultati, pubblicato da Skira nel 2003.
Parallelamente, e in stretta interconnessione funzionale, erano state effettuate indagini sulle superfici pittoriche, volte soprattutto a misurare l’estensione e il livello di penetrazione della solfatazione nonché a individuare caratteristiche e dislocazione delle resine sintetiche impiegate come fissativi da Tintori nel Giudizio Universale, risultati i due problemi conservativi più difficili e urgenti.
Dal 1988 al 1992 (e, successivamente, nel 1997) sono stati effettuati interventi conservativi d’urgenza volti a impedire la perdita di quelle zone in cui la pellicola pittorica era completamente decoesa, mentre nel 1994 fu effettuato un restauro campione completo sul “lunettone” raffigurante la Missione dell’Annuncio a Maria, allo scopo di mettere a punto sia tecnicamente che organizzativamente e finanziariamente il cantiere finale di restauro, ma avendo anche, quel che più conta, la possibilità di valutare nel tempo la durata e la funzionalità delle soluzioni adottate.
Questo modo di procedere ha, inoltre, consentito di programmare la durata effettiva del cantiere di restauro del ciclo giottesco e di rispondere pertanto pienamente all’impegno contenuto nel Protocollo d’intesa tra Comune e MiBAC del 31 maggio 2000, finalizzato alla definizione delle specifiche forme di collaborazione tra i due Enti istituzionali riguardo al momento conclusivo ( ovviamente non finale) dell’attività fino allora svolta.
Il cantiere delle decorazioni interne della Cappella, di fatto – dopo avere verificato con un ulteriore monitoraggio annuale la funzionalità del nuovo sistema di accesso mediante CTA - ha potuto avere inizio nel luglio 2001 per concludersi , entro i nove mesi previsti dal Protocollo, nel marzo 2002.
Si è ovviamente iniziato con le operazioni a carattere conservativo, dando la precedenza alle zone a massimo rischio, che costituivano il 40% dell’intera superficie dipinta, per poi passare all’intervento di restauro in senso proprio, quello cioè teso a restituire (per quanto possibile) l’aspetto del testo pittorico originario, cercando quindi soprattutto di ricostituire l’unità dei due elementi portanti dell’intero ciclo giottesco, la finta architettura dipinta e il fondo azzurro presente dovunque fuorchè nello zoccolo e nell’Inferno.
Sono state inoltre restaurate le 3 statue di Giovanni Pisano, la statua di Enrico Scrovegni , il monumento funebre dello stesso, tutti i manufatti lapidei fissi della Cappella, gli altari e gli amboni, mentre si deve all’impegno del Comune il restauro degli arredi lignei e della pavimentazione interna.
Sul Comune, d’altra parte, come previsto dal Protocollo d’intesa, era ricaduto l’onere di tutta una serie di studi (sul microclima, sugli inquinanti atmosferici, idrogeologici, sulla statica della Cappella), e di interventi diretti, quali la messa in opera del CTA, degli interventi di bonifica e di riqualificazione della rete di raccolta e smaltimento delle acque di superficie e di falda prossime all’edificio, dei cantieri di manutenzione del sito, dei paramenti laterizi a vista e delle superfici di finitura delle murature esterne d’ambito, del sistema di illuminazione artificiale.
Ovviamente di tutte queste attività si trova un resoconto accurato anche se ( per motivi di costi e di dimensioni) molto sintetico nel già citato volume Skira, dove in particolare si potrà consultare una preziosa sintesi cronologica, dovuta all’ Arch. Serenella Borsella ( pp. 178-81), non solo delle attività svolte ma anche di quelle già avviate o solo programmate.
Di queste ultime non tocca a me parlare, ma mi si consenta almeno di accennare a quelle aventi più stretta attinenza con l’Aggiunta al protocollo d’intesa firmato da Sindaco e Ministro pro tempore il 18 marzo 2002 ( cioè il giorno della inaugurazione della Cappella restaurata) mediante la quale, riconosciuta la necessità ineludibile di una “ininterrotta attività di controllo e manutenzione” di quanto fino allora risanato, conservato e restaurato, il Comune si impegna , impiegando strutture e risorse proprie, “ a provvedere al controllo e manutenzione dell’edificio ed al monitoraggio e gestione della situazione ambientale” e il Ministero, tramite l’ICR, “a provvedere al controllo e manutenzione dei dipinti murali di Giotto”.
Era la prima volta che veniva formalizzato ( e reso operativo) un principio che trova piena formulazione già nella Teoria del restauro di Brandi, e cioè che sarebbe controproducente o addirittura colpevole abbandonare a se stesso il monumento o il manufatto dopo il restauro, perché solo la prevenzione di nuovi danni può prolungarne nel tempo la sopravvivenza e quindi la fruizione da parte dei posteri.
Quanto alle attività prima richiamate, citerò la campagna annuale di verifica dei parametri ambientali e di qualità dell’aria interna ed esterna alla Cappella, la campagna annuale di studio e monitoraggio idrogeologico ( anche al fine di una bonifica naturale del cd. cenobio dalle variazioni delle stesse acque di falda), la campagna di monitoraggio biennale dei comportamenti statico-dinamici in elevato e di fondazione della Cappella, finalizzata anche alla valutazione della rimovibilità dei contrafforti murali del già citato vano seminterrato detto cenobio ( cui, tra parentesi, va attribuito il merito di mantenere perfettamente asciutti sia il pavimento che le pareti della Cappella).
Ma di questo presumo che parlerà la Soprintendente Spiazzi mentre della effettiva esecuzione del controllo-manutenzione del ciclo giottesco nei 10 anni trascorsi dal completamento del loro restauro parleranno Francesca Capanna e Antonio Guglielmi