Sulle opere di Burri
Il principio, così chiaramente enunciato da Cesare Brandi, che a monte di ogni intervento di restauro deve esserci una conoscenza approfondita dell’opera anche sotto l’aspetto della storia conservativa ha dimostrato la sua validità anche a fronte di opere d’arte contemporanee.
Le opere della Fondazione Burri a Città di Castello sono state fatte oggetto, infatti, di una preliminare ricerca sulle situazioni di degrado dalle quali avrebbero potuto essere interessate da parte dell’Istituto centrale per il restauro in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Successivamente è stata effettuata da restauratori e allievi dell’Istituto una schedatura dei materiali costitutivi e delle tecniche esecutive, ma soprattutto dello stato di conservazione di un campione rappresentativo delle più diffuse tipologie di opere presenti sia a Palazzo Albizzini che negli Ex Seccatoi Tabacchi.
Un risultato importante del “cantiere di conoscenza” è stata anche la messa a punto di una scheda conservativa specifica per le opere di Burri.
Per la caratterizzazione delle opere sotto l’aspetto scientifico si è potuto fruire della collaborazione del Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia, che hanno impiegato apparecchiature e metodi non distruttivi, cioè che non richiedono prelievo di campioni dei materiali dalle opere sottoposte ad analisi, in particolare IR e XRF.
Allo scopo di valutare operativamente la fattibilità di interventi conservativi e di restauro nei confronti di fenomeni di degrado anomali o particolarmente diffusi presenti nelle opere della Collezione sono stati trasferiti nei laboratori dell’Istituto Tutto nero (1957) e Bianco e nero (1971).
Tutto nero presentava accanto al “cretto” originario una crettatura causata con ogni probabilità da una messa in opera inadeguata dei materiali costitutivi principali, il telaio e la tela di supporto, che avrà costretto lo stesso artista ( o qualcuno dopo di lui) ad operare un intervento conservativo
Dopo una serie di indagini sui materiali e la struttura dell’opera e di prove effettuate su una “cavia”, cioè una copia approssimativa dell’opera eseguita dalle restauratrici responsabili del lavoro, l’intervento è stato lasciato, limitandosi solo a sorreggerlo.
Bianco e nero, invece, presentava una diffusissima maculatura gialla della superficie bianca, originata da attacchi di microrganismi, che è stato possibile rimuovere con prodotti e tecniche messe a punto in questa occasione, grazie al supporto dei laboratori scientifici dell’Istituto.
Di ogni fase di tutti gli interventi è stata fatta una approfondita documentazione, anche mediante rilievo scanner laser 3D.
Ai fini della prevenzione dei danni e del degrado nella ordinaria gestione delle opere verranno fornite alla Fondazione le indicazioni del caso.