Intervento all'Accademia Nazionale dei Lincei per la presentazione della rivista METAFISICA
Io intenderei trattare molto brevemente un argomento specifico, tralasciato da Maurizio Calvesi perché sicuro che ne avrei parlato io.
Nella rivista che oggi presentiamo c’è un brevissimo, quasi telegrafico eppur densissimo articolo di Jole de Sanna su un’opera molto importante del Maestro, i Bagni misteriosi, fatti trent’anni fa dall’artista per la Triennale di Milano (Notizia sul restauro della Fontana “Bagni Misteriosi” al Parco Sempione di Milano).
L’importanza dell’articolo risiede nel fatto che vi si comunica che (grazie all’impegno senza sosta della Fondazione ed in particolare di Jole De Sanna, aggiungo io) finalmente il Comune di Milano, proprietario dell’opera, si è deciso a fare quanto necessario quanto meno per programmarne il restauro.
E cioè ha costituito una Commissione di esperti (tra i quali chi vi parla) e di responsabili della tutela dei beni culturali con il compito di apprestare appunto un progetto di restauro dell’opera.
I presenti sanno benissimo che restaurare un’opera d’arte contemporanea, soprattutto se non si tratta di un manufatto che rientri nelle “canoniche” ripartizioni per generi o classi, è di estrema difficoltà.
Nel caso dei Bagni misteriosi se ne aggiungono altre e in particolare il fatto che l’opera si trova all’aperto, è certamente nata per vivere all’aperto e pertanto non dovrebbe essere portata al chiuso.
D’altra parte è noto a tutti che anche per le opere d’arte contemporanee, forse più che per quelle antiche (o sarebbe meglio chiamarle pre-contemporanee), il problema della conservazione si impone in modo sempre più drammatico.
Gli è che una vecchia convinzione piuttosto “naive” dell’opera d’arte contemporanea indenne da rovina, da danni o comunque da degrado perché nuova purtroppo ha fatto il suo tempo.
Io stesso posso brevemente raccontare la mia esperienza di qualche anno fa, quando (si era nell’’85) a soli diciassette anni dalla fusione e messa in opera della Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro nel piazzale antistante la Farnesina (cioè il Ministero degli Affari esteri) l’opera risultò alle indagini scientifiche ed alle nostre osservazioni talmente degradata da non essere più (almeno per il 90%) restaurabile – nonostante si trattasse appunto di un materiale per definizione duraturo quale il bronzo.
Purtroppo sia la fusione che la messa in opera erano state fatte in modo tale da non garantire quella durata di cui, per fortuna, nonostante guerre, attentati e tanti altri consimili disastri, hanno fruito Marco Aurelio ed altri importanti monumenti anch’essi con più secoli sulle spalle.
Da qui il problema, drammatico, di che cosa fare: salvaguardare l’identità formale dell’opera lasciando che i materiali costitutivi si degradino inesorabilmente nel tempo?
Ma certamente non era questo l’intento di De Chirico e comunque noi sappiamo che se anche l’intento dell’artista fosse stato di quel tipo è nostro dovere di addetti alla conservazione delle tracce e dei documenti della storia non dare seguito a tali intenzioni.
Portare tutto al chiuso?
Si sarebbe trattato e si tratterebbe comunque di un tradimento assolutamente inaccettabile delle intenzioni di De Chirico.
Se a questo si aggiunge che l’opera in questione è di estrema complessità, dato che in essa coesistono e si fondono architettura, scultura, pittura, teatro etc., allora apparirà più che giustificata la necessità di costituire la Commissione cui prima ho accennato e debbo dire che, per fortuna, pur non essendo trascorso tanto tempo, siamo già in possesso di indagini scientifiche e di altri elementi che ci consentono di abbozzare un primo progetto di intervento, certo tutto da verificare, ma penso che già questo sia molto importante.
Ritengo molto significativo che in questo modo nella rivista ci sia la presa d’atto dell’importanza dell’attività di conservazione per l’opera d’arte contemporanea e di conseguenza auspico che questo spiraglio diventi - per così dire - una finestra : che possa appunto riportare, per quanto possibile sistematicamente, delle informazioni relative a De Chirico ed eventualmente ad altri artisti.
Ribadisco che le occasioni per parlare di conservazione e restauro dell’arte contemporanea sono assolutamente scarse e rapsodiche.
Maurizio Calvesi ricorderà, come me, che l’ultimo convegno sulla salvaguardia delle opere d’arte contemporanee ( che faceva seguito ad uno precedente di 3 anni prima) risale ormai a parecchi anni fa, all’ottobre ’97, e che non a caso l’abbiamo fatto alla Sapienza nell’ambito di un progetto globale dalla valenza fortemente didattica oltre che scientifica e operativa, dato che prevedeva lo studio, le indagini conoscitive, la discussione, l’intervento sulle due più importanti opere d’arte dell’Università, la Minerva di Arturo Martini (in effetti restaurata in quell’occasione) e il grande murale di Mario Sironi nell’Aula Magna, L’Italia fra le arti e le scienze ( sul quale venne allora presentato un completo dossier conoscitivo, sia storico che analitico, e se ne discussero i possibili sbocchi operativi).
Da allora non si è avuto modo di registrare altre iniziative analoghe, almeno in Italia.
Io credo dunque che la rivista possa essere uno strumento molto importante anche nelle due direzioni che seguono: primo, per la raccolta di informazioni di prima mano sui materiali costitutivi delle opere di De Chirico (eventualmente non solo sue) con lo scopo di costituire quella banca dati senza la quale non si può fare nulla di serio ( e mi risulta che la Fondazione De Chirico si sta attrezzando in proprio per garantirsi la piena attendibilità di tali informazioni); secondo, per alimentare un dibattito che non sia né occasionale nè epidermico e neppure stantio sul modo in cui ci si deve porre di fronte a problemi così complessi quali sono quelli nei quali spesso ci si imbatte nel restauro del contemporaneo.