Incidenza dell’ambiente sulla conservazione delle decorazioni murali: il caso degli affreschi della Basilica di S. Francesco in Assisi
G. BASILE - E. MANCINELLI - S. MASSA, Esperienze di prevenzione precedenti al sisma del 26.9.97 e proposte per il futuro
Per anni e anzi per decenni la prevenzione è stata una sorta di “araba fenice”, nel senso in cui ne scriveva un nostro vecchio e ormai credo dimenticato poeta :
“che ci sia ciascun lo dice,
dove sia nessun lo sa”
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Seminario Internazionale
Assisi (Sala Romanica) 24 - 25 settembre 1998
G. BASILE - E. MANCINELLI - S. MASSA, Esperienze di prevenzione precedenti al sisma del 26.9.97 e proposte per il futuro
Per anni e anzi per decenni la prevenzione è stata una sorta di “araba fenice”, nel senso in cui ne scriveva un nostro vecchio e ormai credo dimenticato poeta :
“che ci sia ciascun lo dice,
dove sia nessun lo sa”
Per la verità, il concetto stesso di prevenzione non è a tutt’oggi così diffuso e consolidato nel nostro modo di pensare, prima che nel nostro modo di comportarci: ciò accade a tutti i livelli ed il campo dei beni culturali non fa certo eccezione.
Per quanto anche sotto questo aspetto i precedenti non mancano ed anche piuttosto lontani nel tempo: voglio solo ricordare che l’articolo di Cesare Brandi, allora direttore dell’Istituto centrale del restauro, su Cosa debba intendersi per restauro preventivo fu pubblicato sul Bollettino dell’Istituto nel 1956 e che il problema era stato impostato già allora con la consueta chiarezza e lucidità:
“... le misure di prevenzione restauro preventivo.”
Molti dei presenti vorranno certamente obiettarmi che “una rondine non fa primavera” e questo è vero. Ma si dà il caso che, a meno di 20 anni di distanza, l’ICR mette a punto un Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria che mette per la prima volta su basi conoscitive certe il discorso della prevenzione, condizione imprescindibile ai fini di una concreta realizzazione del concetto di restauro preventivo, come mette in luce chiaramente l’allora direttore dell’ICR Giovanni Urbani.
La storia della “sfortuna” del Piano è stata fatta troppe volte ed anche testè dal direttore ICR Michele Cordaro, che nella redazione di esso ebbe allora gran parte, perché io debba ripeterla. Dovrò soltanto ribadire che l’impegno dell’ICR in direzione della prevenzione non ha conosciuto praticamente soste e ricordare almeno un’altra tappa , quanto mai in sintonia con la situazione in cui oggi ci troviamo qui ad Assisi, nella mostra dedicata alla Protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico.Termini del problema, inaugurata a giugno 1983 nei nuovi locali dell’Istituto nel Complesso del S. Michele.
Anche questa iniziativa, in un momento in cui si veniva riscoprendo l’importanza dei beni culturali ma - al di là delle buone intenzioni di singoli ed associati - soprattutto in funzione di nuove occasioni per drenare risorse da impiegare secondo le prassi più consolidate e tradizionali del fare restauro ed in una congiuntura particolarmente difficile per l’Istituto, non pareva potesse avere alcun seguito e tanto meno la proposta Per una Carta del Rischio del patrimonio culturale che ebbe a seguire da lì a pochi anni (1987) ma che non a caso potè vedere la luce solo perché inserita in un progetto di megafinanziamento di un Piano nazionale di intervento di restauro di beni culturali (Memorabilia: il futuro della memoria) che assai difficilmente si sarebbe potuto leggere alla luce della prevenzione , come invece poi si è potuto realizare con la Carta del Rischio del patrimonio culturale italiano.
E però, nella convinzione (poi rivelatasi fondata) che presto o tardi, a meno di non volere continuare a fare una politica di salvaguardia dei beni culturali dissennata, si sarebbe dovuto pervenire ad una impostazione dell’intera attività di conservazione alla luce della prevenzione e per potere d’altra parte apprestare campioni di intervento preventivo necessari a mettere a punto concretamente esempi pratici che avrebbero dovuto rendere più facile e fecondo il passaggio da una corretta definizione metodologica ad una adeguata realizzazione tecnica, si volle affrontare il problema tuttora drammatico della caduta di interesse nei confronti dell’opera una volta portatone a termine il restauro.
Il fenomeno (e mi riferisco ovviamente solo al nostro Paese) ha dimensioni macroscopiche ed è sotto gli occhi di tutti: non mi risulta infatti (ma vorrei essere smentito) che a tutt’oggi sia diffuso se non proprio generalizzato l’uso di prevedere un piano di controllo ed eventuale manutenzione di beni culturali restaurati non dico al momento della definizione del progetto di restauro ma, quanto meno, al momento in cui l’intervento può considerarsi per allora concluso.
Le motivazioni sono molteplici e complesse e non c’è tempo,ora, per fermarmici sopra (l’ho già fatto in più occasioni e per esempio in occasione di “Restauro 93: Salone dell’arte, del restauro e della conservazione”: La programmazione degli interventi di manutenzione e di restauro, in Ambiente,città e museo, Firenze, 1995, 217 - 220 ), ma una di esse, e tra le più costrittive, è certamente da individuare nelle difficoltà degli uffici periferici di tutela dell’Amministrazione dei BC ad emanciparsi dalle strettoie dell’urgenza e dell’imprevisto per potere programmare serenamente la propria attività.
E’ per questo che, dopo alcuni tentativi di coinvolgimento in prima persona della competente soprintendenza, l’ICR giunse alla decisione, nell’’88, di effettuare direttamente un’esperienza di prevenzione completa su dipinti murali anche se limitata ad un solo monumento.
La scelta della Basilica di S. Francesco non fu, ovviamente, casuale né dovuta soltanto o essenzialmente alla sua importanza storico-artistica: convergevano altri ,importanti motivi, come le dimensioni del complesso decorativo, la presenza di due invasi architettonici notevolmente diversi dal punto di vista microclimatico, le modalità di fruizione, infine la conoscenza acquisita in lunghi anni di frequentazione a cominciare dagli anni immediatamente anteriori e successivi all’ultima Guerra e poi, soprattutto, nel corso di una ventennale campagna di restauro che, dal 1963 al 1983, ebbe ad oggetto, sistematicamente, tutti i cicli pittorici medievali della doppia Basilica e attinenze. In più, la Basilica Superiore - sicuramente quella più a rischio sotto l’aspetto microclimatico - era stata oggetto di uno studio congiunto ICR - CNR di Roma (Centro di studio sulle cause di deperimento e sui metodi di conservazione delle opere d’arte) che aveva avuto un primo esito operativo di tipo - oggi diremmo - passivo nella messa in opera di una bussola a parziale barriera nei confronti del microclima esterno proprio allo scopo di prevenire eventuali danni ai dipinti murali appena restaurati conseguenti all’assenza di ogni controllo del microclima interno.
Si decise pertanto di riprendere il controllo microclimatico dell’ambiente anche per potere basare su dati di fatto la valutazione da dare delle proposte di climatizzazione sistematica della Basilica, tanto più insistenti quanto più guadagno - se non altro in termini di ritorno di immagine - il proponente si attendeva da un impianto obbligatoriamente invasivo su un monumento in cui difficilmente si riuscirebbe a trovare zone non interessate da decorazioni di alto valore artistico, pittoriche o plastiche che siano.
Contemporaneamente, venne effettuata per due anni di seguito da parte di restauratori una campagna mirata di controlli per zone significative dal punto di vista conservativo dei dipinti murali (ed anche delle vetrate) della doppia Basilica, con i conseguenti interventi conservativi, ove necessari.
Di questa esperienza venne dato immediato resoconto tramite la pubblicazione di un opuscolo PER LA PREVENZIONE. Controllo e manutenzione di decorazioni pittoriche in S. Francesco ad Assisi (ICR, 1989) e, l’anno successivo, mediante una videocassetta dallo stesso titolo poi presentata alla “ I Rassegna nazionale del documentario didattico sulla conservazione e sul restauro” organizzata dall’ICR nell’ambito della VII Settimana dei Beni Culturali.
Dato che uno degli scopi di quell’iniziativa era di dimostrare, dati alla mano, come l’attività di prevenzione fosse conveniente, rispetto al restauro, anche sotto l’aspetto meramente finanziario avevo sperato, ingenuamente, che ciò servisse ad attivare sponsorizzazioni in quel momento più che mai frequenti per restauri di opere e monumenti celeberrimi.
Niente da fare! Pare che lo sponsor, in Italia (non so se anche in altri Paesi) sia sensibile soltanto al fascino perenne dell’opera che dopo il restauro diventa sempre e comunque più bella di prima e, generalmente, bella come quando era uscita dalle mani dell’artista. E’ vero anche che il suo cuore, come quello di tutti noi, si commuove di fronte alle grandi catastrofi che colpiscono monumenti e opere d’arte, come si è visto anche in occasione di questo terremoto: ma la prevenzione è per sua natura antitetica alle catastrofi...
A questo punto due erano le alternative: interrompere l’iniziativa, contentandosi dei risultati metodologici e normativi ottenuti, tanto più che l’operazione era forzatamente parziale, dato che poteva riguardare, secondo una divisione di compiti risalente alla Legge speciale su Assisi, soltanto le decorazioni murali e non l’edificio; ovvero continuare ad occuparsene per la parte di propria competenza, ma in forme più sistematiche e meglio definite. Bisogna aggiungere, per completezza di informazione, che proprio in quel periodo era in corso di elaborazione il Progetto Assisi, che prevedeva lo studio approfondito ed il conseguente restauro dei maggiori monumenti pubblici assisiati (tra cui, inutile dirlo, la Basilica di San Francesco) grazie ad una legge speciale che avrebbe dovuto essere varata da lì a poco e che poi, invece, per vicissitudini ben note, non ebbe attuazione.
La nuova attività dell’ICR fu dunque impostata, com’era naturale, su due piani: la prevenzione indiretta, cioè sull’ambiente, e quella diretta, cioè quella che ha come oggetto l’opera, nel nostro caso i dipinti murali della Basilica.
E’ noto ai presenti che la prevenzione indiretta, in una sequenza puramente logica, deve precedere quella diretta ma che poi, nella realtà operativa, le operazioni diventano strettamente interrelate e la loro sequenza assai meno schematica: del resto, l’attività di prevenzione, se vuole essere efficace, non può che essere permanente.
Non vi farò, pertanto, la cronaca di questi ultimi 6 anni di attività di prevenzione ma mi limiterò a riferirne schematicamente le linee di intervento, anche tenendo conto del fatto che degli aspetti scientifici di quella indiretta riferirà più estesamente subito dopo di me Sandro Massa, responsabile scientifico per conto del già citato Centro del CNR
di Roma della convenzione con l’ICR.
Nella Basilica dunque era stato installato un sistema di monitoraggio termoigrometrico che teneva sotto controllo le due basiliche e la Tomba del Santo; all’ingresso principale della Basilica Superiore era stato inoltre installato un sistema contapersone.
Quello del degrado da eccesso di fruizione (quattro milioni e mezzo di visitatori ad Assisi nel ’96) sembrava in realtà allora il vero grosso problema, tanto più che era facile prevedere che in occasione del Giubileo tale numero sarebbe aumentato in maniera abnorme.Allo stesso scopo, infatti, fin dall’’89, era stato individuato nella Sala Norsa l’edificio più idoneo a svolgere quella funzione indispensabile di supporto informativo e, in qualche modo, di strumento “selettivo” dei visitatori per niente o scarsamente motivati che avrebbe dovuto alleggerire notevolmente la pressione di pellegrini e turisti soprattutto sulla Basilica Superiore.
Problemi di vario tipo avevano fatto slittare di anno in anno la realizzazione di tale iniziativa fino a quando, poco prima della data prevista per l’inaugurazione, non è sopravvenuto il terremoto e la conseguente utilizzazione della Sala quale surrogato “virtuale” della Basilica Superiore.
Quanto alla prevenzione diretta, a partire dal ’91 sono state effetuate, sotto la guida del restauratore ICR Eugenio Mancinelli, sistematiche operazioni di controllo e manutenzione ordinaria di tutti i cicli medievali (tranne quello della Cappella di S. Caterina) e a novembre ’97 si sarebbe dovuto passare alla Basilica Superiore cominciando dalla prima campata, quella dell’arco dei Santi e della volta dei Dottori della Chiesa (ma nel ’93, a causa di alcune infiltrazioni dalle vetrate, si era reso necessario effettuare il controllo sul ciclo delle Storie francescane).
Anche in questo caso il terremoto è arrivato prima, con le ben note conseguenze di danni e distruzioni.
Come vedrete nel corso della visita di oggi pomeriggio, alcune zone della volta della Basilica Superiore sono crollate trascinando con sé, naturalmente, la propria decorazione pittorica mentre sulle volte rimaste in situ le condizioni dei dipinti murali riflettono fedelmente lo stato di danneggiamento della muratura di supporto. Ciò vuol dire che dove la muratura ha retto hanno resistito anche le decorazioni pittoriche ed una riprova ne viene dalle pareti dove (tranne che in corrispondenza delle due testate del transetto, le più provate dall’urto del sisma, dove vecchie lesioni si sono riaperte) i cicli pittorici non presentano, per fortuna, danni apprezzabili e, soprattutto, non vi si riscontrano fenomeni di distacco dell’intonaco dalla muratura.E a questo proposito l’immagine in cui una porzione di intonaco è rimasto ancorato ad un filo di vinavil ha assunto, per noi, valore simbolico, nel senso che viene confermato ancora una volta come opportuni interventi conservativi possono se non impedire almeno limitare i danni anche in caso di eventi eccezionali o finora ritenuti tali qual è un terremoto.
Da quanto finora detto risulta chiaramente che non ci si era occupati in modo specifico di studiare gli effetti di scosse sismiche sulle decorazioni murali: forse anche perché dalle mie ( e non credo solo mie) precedenti esperienze in occasione di eventi sismici la fenomenologia dei danni è risultata assolutamente analoga a quella riscontrata qui in Basilica ( ricordo ancora, soprattutto in Friuli, le difficoltà che si incontravano nelle operazioni di stacco delle decorazioni murali dai frammenti di muro recuperati dopo il crollo).
Naturalmente saremmo ben lieti se qualcuno degli illustri ospiti qui presenti avesse da riferirci esperienze nel senso che si è detto: ciò ci esimerebbe dall’obbligo di doverne effettuare in proprio (i doppioni sono sempre da evitare perché inutilmente dispendiosi).
E però, al di là degli indispensabili interventi di miglioramento sull’edificio, di cui vi parleranno fra poco il Soprintendente Centroni e i Professori Croci e Rocchi, un paio di interventi più specifici li abbiamo in progetto: il primo consisterà in operazioni di ricostituzione della coesione di un pigmento molto diffuso, l’azzurrite; l’altro nel miglioramento della adesione fra intonaco e supporto murario in alcune zone già individuate della decorazione murale della Basilica Inferiore.