Salvaguardia, conservazione e restauro dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci
Il corridoio non è più largo di 2 metri, le pitture sono giustamente protette da un cristallo, e sono eseguite su un intonaco liscio e durissimo come la porcellana…. E’ quel che rende disperato lo stacco di tali pitture, che infatti, se distaccate, non mi hanno fatto vedere”: con queste parole Cesare Brandi chiudeva il racconto della sua visita alla Tomba della Principessa Yung tai qui a Xian.
“Il corridoio non è più largo di 2 metri, le pitture sono giustamente protette da un cristallo, e sono eseguite su un intonaco liscio e durissimo come la porcellana…. E’ quel che rende disperato lo stacco di tali pitture, che infatti, se distaccate, non mi hanno fatto vedere”: con queste parole Cesare Brandi chiudeva il racconto della sua visita alla Tomba della Principessa Yung tai qui a Xian ( come riportato nel mio articolo sul secondo numero dei “Quaderni di Xian”: Tutela e prevenzione nel viaggio di Cesare Brandi a Xian )
Chiunque può giudicare oggi quanto quella osservazione di Brandi cogliesse nel segno.
Bisogna però aggiungere subito, per correttezza, che anche in Italia, in quegli anni, quel tipo di discorso conservativo riscuoteva ben pochi consensi: come dimostrano alcuni casi eclatanti e, tra di essi, il Cenacolo di Leonardo da Vinci nell’ex Convento di S. Maria delle Grazie a Milano ( qui lo si vede in una foto degli inizi del ‘900 fig.1).
Anche per il dipinto di Leonardo (fig.2) era stato proposto tra Settecento e Ottocento lo stacco come radicale soluzione ai problemi di degrado che interessavano l’opera .
Per fortuna non se ne fece nulla, anche se sulla superficie dell’opera è possibile ancora oggi rintracciare i segni dell’inizio di quella operazione.
Ma andiamo per ordine.
Il degrado dell’Ultima Cena iniziò immediatamente dopo essere stata ultimata:
a causa della tecnica utilizzata, perché Leonardo ai 2 strati di intonaco tipici di ogni dipinto murale aveva aggiunto uno strato di biacca ed impiegato come “legante” una tempera grassa di sua invenzione mescolando olio di lino e uovo
ma, principalmente, a causa dell’umidità.
Nel passato gli interventi finalizzati alla rimozione di questa causa di degrado non avevano avuto esito positivo, soprattutto per la troppo generica caratterizzazione del fenomeno e per la inadeguatezza delle risorse tecniche. Infatti, soltanto ora, in seguito alla campagna mirata di indagini condotta tra la fine degli Anni ’70 e gli inizi degli Anni ’80 , si è riusciti ad individuare il particolare tipo di umidità presente sulla parete del dipinto, peraltro abbastanza rara, cioè la “condensa interstiziale”, che si forma tra l’intonaco e la superficie del colore.
Lo stesso si può dire per le altre cause di degrado, cioè la polvere e, in un periodo a noi più vicino, l’inquinamento, già da tempo individuate ma, fino ad allora, non ancora valutate adeguatamente nella loro pericolosità.
Non si trattava però soltanto di insufficienza di conoscenze e di tecnologie: inadeguato era proprio l’approccio di fondo, che si limitava a prendere in considerazione l’opera ma non l’ambiente in cui l’opera si trovava.
E’ solo agli inizi del secolo scorso che il problema del salvataggio del dipinto di Leonardo appare in tutta la sua complessità, anche se dal modo di agire dei responsabili non traspare una coscienza netta della importanza vitale del problema ambientale.
Stanno a dimostrarlo 2 fatti:
l’impianto di riscaldamento messo in opera dopo l’intervento conservativo effettuato dal grande restauratore Luigi Cavenaghi (1904) per prolungarne nel tempo gli effetti benefici fu disattivato dopo un anno di vita nel timore che potesse arrecare danni al dipinto
non venne accolta la proposta dello stesso Cavenaghi di installare una bussola all’ingresso del Refettorio per limitare l’accesso della polvere
In realtà, la consapevolezza che il problema della salvaguardia dell’Ultima Cena non avrebbe potuto avere adeguata soluzione se non fosse stato affrontato e risolto preventivamente sotto l’aspetto del risanamento dell’ambiente appare soltanto in occasione dei lavori di ricostruzione del Refettorio quasi distrutto dal bombardamento aereo inglese del 16 agosto 1943 (qui si vede il grafico fig. 3)
Debbo aggiungere però che, purtroppo, la soluzione adottata (riscaldamento a serpentina nel pavimento) venne inficiata nella pratica dall’intermittenza del funzionamento dell’impianto, legato a quello dell’adiacente alloggio dei custodi .
Quel tragico evento, peraltro, aveva dato origine ad un altro grave problema , dato che la parete sulla quale Leonardo aveva dipinto l’Ultima Cena era sì rimasta in piedi, insieme alla parete di fronte ed a quella Nord, ma profondamente dissestata (fig.4 e 5).
Si rese necessario pertanto impiantare un “presidio statico” (cioè una struttura di sostegno applicata dal retro alla parete) attivando contestualmente un monitoraggio dei movimenti della muratura mediante una serie di sensori a contatto (fig. 6).
Alla luce dei risultati delle indagini a cui prima ho fatto riferimento ( e di cui si vedono qui alcuni esempi: fig. 7,8,9) è stato messo a punto un progetto di intervento sull’ambiente e, ovviamente, sull’edificio in quanto parte integrante di esso.
Questo progetto è stato frutto del lavoro interdisciplinare di un’èquipe di storici dell’arte, restauratori, architetti, esperti scientifici appartenenti al Ministero per i Beni culturali, alle Università, al CNR, ad altri enti di ricerca pubblici e privati, sotto la direzione e con il coordinamento dell’Istituto centrale del restauro.
Suo carattere qualificante ( e profondamente innovativo) è stato il ricorso a “sistemi passivi”, tali cioè da non modificare radicalmente e forzosamente le condizioni preesistenti ma in grado di aumentare le capacità del contenitore murario a fare da filtro nei confronti dei fattori di degrado esterni: variazioni termoigrometriche, polveri, inquinanti, afflusso incontrollato di visitatori .
Pertanto non è stato installato nessun impianto di condizionamento ma solo di filtraggio dell’aria ed un sistema di aperture e chiusure alternate di porte a vetri interne agli ambienti attigui al Refettorio, oltre al provvedimento del tutto nuovo di un accesso controllato del pubblico per gruppi di non più di 25 persone per volta ( lo vedete schematizzato in queste immagini : fig. 10, 11, 12, 13).
Particolare cura è stata rivolta alla illuminazione, sia naturale che artificiale, mediante la schermatura della vetrata del braccio del chiostro e delle due finestre contigue alla Cena e l’impiego di lampade sperimentali in grado di illuminare omogeneamente il dipinto e di non influire negativamente sul delicato equilibrio termico dell’ambiente (fig. 14).
Tutto questo però ha richiesto un impegno ininterrotto e profondo per una quantità di tempo enorme, sia per potere mettere a punto e controllare nel tempo metodologie e tecnologie innovative che per bloccare o almeno frenare le pressioni di tutti coloro che avevano interesse a portare a termine il restauro del dipinto nel tempo minore possibile, in particolare lo sponsor, l’editore del volume illustrativo dell’opera dopo il restauro e gli autori di quel volume.
Per quanto riguarda in particolare il dipinto ( qui lo si può vedere prima dell’ultimo intervento di restauro : fig. 15 ), se ne è effettuato il restauro per 2 motivi fondamentali, il primo a carattere conservativo e l’altro di tipo conoscitivo e fruitivo.
necessità di alleggerire la superficie pittorica portando via il “crostone” costituito dai prodotti di restauro ( consolidanti, fissativi, ravvivanti) impiegati nei precedenti, numerosi interventi ( fig. 16)
necessità di garantire una lettura migliore dell’opera, liberandola da tutti quegli interventi che ne alteravano l’aspetto e l’avevano reso una “falsa icona” ( fig. 17).
La “filosofia” seguita è stata quella tipica del fare restauro in Italia: cioè recupero di tutte le zone originali del dipinto, ma anche rispetto della sua storia, cioè di tutte quelle ridipinture con le quali era stata ricostituita l’integrità materica dell’opera in sostituzione di zone andate perdute (i casi più macroscopici sono costituiti dal soffitto a cassettoni e dagli arazzi) ( fig. 18 ).
La metodologia che è stata impiegata è consistita essenzialmente in:
rimozione di tutti i materiali incongrui per potere recuperare uno per uno i preziosi frammenti originali del dipinto ( fig. 19), anche se non sempre si trovavano in condizioni di piena integrità (operazione cosiddetta di pulitura)
trattamento delle lacune che sono risultate dalla pulitura, cioè delle zone prive di colore e quindi con l’intonaco in vista, mediante un tessuto cromatico di riferimento con cui collegare le immagini, allo scopo di ricostituire l’unità potenziale dell’opera ( fig. 20), essendo ormai perduta, e da parecchio tempo, la sua unità materica (operazione di reintegrazione delle lacune).
Le tecniche usate nell’intervento di restauro sono state improntate alla massima correttezza professionale e quindi in scrupolosa adesione ai più avanzati principi deontologici del restauro:
rispetto dei materiali costitutivi dell’opera, al punto che la restauratrice ( Pinin Brambilla) ha fatto uso costante del microscopio per le operazioni di pulitura;
reversibilità dei prodotti impiegati per la reintegrazione delle lacune, trattandosi di acquerello
Per prevenire eventuali fenomeni di accelerazione del degrado a restauro del dipinto ultimato - come ancora oggi accade in tanti altri casi - è stato messo in opera un sistema di difesa dell’ambiente e del dipinto i cui aspetti principali sono:
monitoraggio termoigrometrico e della “qualità dell’aria” in continuo e con collegamento in tempo reale all’Istituto centrale del restauro;
regolamentazione dell’accesso dei visitatori e attivazione di un sistema di prenotazione obbligatoria;
monitoraggio statico della parete dell’Ultima Cena;
controllo sistematico e a scadenze programmate del dipinto, utilizzando uno strumento di enorme importanza qual è la banca dati informatizzata della Cena e del Refettorio (contiene ovviamente anche informazioni relative all’ambiente)
Questa, in estrema sintesi, la storia del ventennale intervento sul Cenacolo di Leonardo: ma non potrei chiudere questo mio intervento senza un doveroso ringraziamento agli organizzatori di questa Giornata di studi, e in particolare all’Architetto Michele Morana, e un altrettanto doveroso riconoscimento alla professionalità, all’esperienza (ed al coraggio) degli amici e colleghi Giorgio Bonsanti e Antonio Rava.
Principali indagini, esami ed analisi scientifiche
Le ricerche scientifiche attivate in occasione del restauro della Cena si sono articolate lungo 4 direzioni principali, corrispondenti ad altrettante problematiche generali:
individuazione della tecnica esecutiva
caratterizzazione dei materiali sovrammessi a fini di consolidamento, fissaggio, ravvivamento della superficie in occasione di precedenti interventi
analisi delle condizioni statiche della parete della Cena
rilevamento delle condizioni termoigrometriche e della “qualità dell’aria”
Quanto alla prima direzione si è trattato da una parte di individuare, con metodologie microchimiche di routine, la natura dei pigmenti impiegati da Leonardo; dall’altra e soprattutto la identificazione del legante, operazione sempre assai complessa e dai risultati spesso negativi, per la quale sono state utilizzate anche tecniche di indagine assai avanzate (in particolare analisi gascromatografiche con spettrometro di massa e misure spettrofluorimetriche) che in questo caso hanno dato però esiti accettabili.
Tra i materiali sovrammessi sono stati riscontrati oli siccativi, colle animali, resine naturali e sintetiche, gomma lacca.
In relazione alla parete sono stati effettuati rilievi topografici e fotogrammetrici, indagini geognostiche, prove sullo stato di trazione delle catene e sullo stato di compressione della parete,rilevamenti in continuo delle temperature e delle sollecitazioni sulla stessa, analisi strutturali.
Infine, in relazione al 4° punto, è necessario rilevare che dalla metà degli anni ’80 i rilevamenti termoigrometrici e dei livelli di inquinamento ambientale si sono trasformati in monitoraggi continui programmati per funzionare anche in futuro.