Saluto del prof. Enzo Bilardello
E’ la prima volta che prendo la parola ad una cerimonia d’addio, per condividere il dolore della moglie, dei parenti prossimi, degli amici di lunga e recente data. E’ la prima volta e non perché le persone dalle quali ci congediamo non meritino quasi sempre elogi consapevoli e sinceri. Tuttavia, tutti noi siamo controversi, e luci ed ombre si alternano in modo confuso. Il motto ‘de mortuis nisi bene’ finisce con l’essere una forma di retorica. Allora, quasi sempre, il silenzio rispettoso mi sembra una forma più alta di commiato. Con Giuseppe Basile, un’anima nobile della civiltà italiana degli ultimi decenni, correrò il rischio della retorica. Per parafrasare Shakespeare sono venuto per seppellire Basile, ma anche per lodarlo.
Quante volte l’ho visto, segaligno ed esile come un fagiolo, salire instancabile i ponteggi delle varie chiese in restauro, da S. Cecilia a questa di S. Maria in Trastevere; da Assisi agli Scrovegni, limitandomi agli episodici interventi che mi hanno avuto testimone. L’elenco dei cantieri nei quali si è prodigato sotto la direzione di altri soprintendenti e quelli che egli ha diretto in prima persona sarebbe già un elogio sufficiente per assolvere una vita operosa, integra per passione professionale e civile. Tutta l’Italia artistica, da risarcire e preservare, è stata da lui collegata con un fitto reticolo d’interventi, con giudizi mai occasionali e, se provvisori, per far meglio in futuro, con riflessioni sul restauro di monumenti e opere anche recenti, che presentavano problematiche inedite sui materiali, sui colori, sulla ricezione. Su tutti codesti temi il prof. Basile si è speso non solo intervenendo in prima persona, ma anche richiedendo pareri esperti e sapienti, organizzando convegni e tavole rotonde con chiunque avesse a cuore la salvaguardia del patrimonio artistico, né solo di questo paese, ma a latitudini remote, nell’oriente estremo (Giappone, Cina, India e da ultimo con un viaggio in Vietnam), in America meridionale.
Credo che l’Europa sia stata da lui corsa appena meno della fitta trama tessuta in Italia. Con tutto questo, Basile trovava anche il tempo di scrivere. Non si trattava solo di diari di bordo dei cantieri, delle dovute e mai compiacenti e compiaciute relazioni d’ufficio. Si trattava di studi genuini, ossia meditazioni compiute sul lavoro svolto e soprattutto di selezione e perfezionamento di metodologie valide per il futuro. Egli ha trovato persino lo stimolo per un libro di racconti che hanno, va da sé, l’arte come filo conduttore. Una tale capacità di lavoro e di rispetto per il lavoro altrui ha del prodigioso. Il suo impegno è stato privo di contropartite. Non ho mai saputo che si attendesse prebende, favori, onori e riconoscimenti che, pure, sarebbe stato giusto gli fossero tributati in vita. Ma il personaggio era anche spigoloso. Il senso del dovere non è fatto per accattivarsi simpatie, per vivere in sintonia con tutti, dicendo sì a tutti coloro che detengono una qualche forma di potere. Basile sapeva trattare, aveva una discreta duttilità diplomatica, che si fermava, però, al primo conflitto tra dovere e acquiescenza: vinceva sempre il dovere.
Da dove procede codesta natura di storico dell’arte ‘sui generis’, di teorico del restauro, di organizzatore del lavoro dei restauratori con i quali c’era uno scambio assiduo di opinioni, di animatore e protagonista di dibattiti culturali non futili sull’attualità e sul destino del nostro patrimonio artistico? Per sorprendente che sia la risposta, è quella e non altra: viene dalla Sicilia. La storia dell’arte in Sicilia ha avuto un dignitoso cultore ottocentesco in Gioacchino Di Marzo; nel Novecento qualche merito e fama di conoscitore l’ha conseguita Stefano Bottari. Praticamente non c’era altro. Il maestro di tutti noi, Cesare Brandi, in sette anni d’insegnamento a Palermo ha avuto la felicità creativa e la forza dirompente d’insegnare a noi, che eravamo ventenni, un’altra dimensione della cultura, l’impegno totalizzante per lo stato, un mestiere di qualità tale da poterlo esercitare a qualsiasi latitudine. Il lascito siciliano di Brandi ha dimostrato che non ci sono terreni così aridi da rendere inutile il dissodamento. Per 50 anni la sua lezione ha lasciato frutti in loco e nella nazione tutta. Basile, forse perché riservato e d’animo aristocratico, non è stato tra gli allievi più in vista, per quanto già avesse dei meriti notevoli, e tuttavia la riconoscenza per quanto aveva appreso è stata custodita come germoglio vitale che, a tempo debito, ha generato un raccolto quasi sensazionale. Gli scritti che si sono succeduti con fitta regolarità riguardano la Basilica Superiore in Assisi, indagata in lungo ed in largo; la Cappella Scrovegni a Padova che oggi conosciamo non solo come testo, ma anche come ritrovati tecnici, con la scelta di creare la camera di decompressione dei visitatori per proteggere termicamente e regolare l’umidità dell’ambiente; il Cenacolo di Leonardo; Palazzo Te a Mantova; l’Annunciazione di Antonello a Siracusa. Nell’ultimo decennio egli si è fatto promotore di una fitta trama d’iniziative per onorare il nome del maestro, e se oggi il nome di Brandi costituisce la guida e la pietra di paragone di qualsiasi scelta e modus operandi del restauro nel mondo, lo si deve a colui che ne rappresenta la continuità e il meditato aggiornamento, Giuseppe Basile. Per impulso di Basile, le traduzioni della Teoria del restauro si sono moltiplicate a tutte le latitudini: ne abbiamo in inglese, spagnolo, portoghese, greco, francese, tedesco, giapponese, cinese, coreano, arabo, russo e di certo ne dimentico qualcuna. Le celebrazioni del centenario, con risorse limitatissime e, credo, con personali sacrifici finanziari, sono state numerose e foriere di risultati di lunga durata.
Tutti miriamo alla nostra gloria in vita e postuma, Basile è un raro esempio di gloria vissuta in un cono d’ombra, senza cercare esposizioni mediatiche, mettendosi generosamente al servizio di un altro genio in vita e soprattutto eleggendosi ad erede volontario e devoto. Un aspetto non minore concerne la sua attività di docente. Come professore della Scuola di Specializzazione della Sapienza ha rinverdito la tradizione brandiana, l’ha continuata con la migliore attitudine possibile, non limitandosi alla storia e alla teoria, ma conducendo gli allievi nei cantieri, facendo veder loro restauri in corso e completati, discutendo il pro ed il contro delle soluzioni possibili, assegnando tesi su maestri restauratori ormai storicizzati, in modo da collegare il passato all’attualità. Credo che qualcuno della nuova generazione di allievi considererà Basile come noi studenti degli anni ’60 del Novecento abbiamo ricevuto Brandi, un maestro da portare nel cuore e nel cervello per sempre.
E veniamo al modo in cui ha affrontato l’ultimo scorcio di vita. Il medico al quale l’ho affidato come una sorta di Virgilio nel labirinto della malattia, mi ha detto subito che non c’era rimedio, ma la durata di Giuseppe Basile è stata tale da sbigottire chiunque sapesse. Egli ha continuato a viaggiare indefessamente e non certo per diporto, ha organizzato e partecipato a convegni e presentazioni ovunque lo si richiedesse (ricordo a mo’ di esempio, la collaborazione di lunga data e feconda di risultati con l’Associazione Giovanni Secco Suardo), al di là di ogni cautela clinica. Ha fondato un Archivio Internazionale per la Storia e l’Attualità del Restauro, l’AISAR, in quel di Palermo, al quale ha donato la propria biblioteca di lavoro ed altri mezzi. Gli ultimi impegni sono stati per Palermo, con un ritorno alle radici ricco di elegia, ma senza fronzoli, con una forte impronta morale: presentazione di libri sulla Biblioteca Regionale, sul Museo Diocesano, sul restauro di un Van Dyck o del più moderno Guttuso, sul festeggiamento dei novant’anni dell’antico soprintendente Vincenzo Scuderi. Il medico mi ha detto che per oltre un anno Giuseppe Basile ha rintuzzato e governato lui la sua malattia, l’ha tenuta a bada con una determinazione e forza d’animo che non è esagerato definire eroica. Adesso, è sceso il silenzio, e il paradiso dei giusti e dei probi lo accolga senza tante storie. Non solo l’Italia, questo paese disgraziato, oggi senz’anima e senza dignità, ma il mondo ha bisogno di personalità di questo formato, come direbbe Thomas Mann, di grande formato.
Riposa in pace amico nostro, amico mio.